| Davvero non mi spiego il piagnucolare diffuso delle vedove del Principe Azzurro di Biancaneve. Ancora meno riesco a capacitarmi per l’horror vacui che ha provocato la scomparsa dalla vita di quella fanciulla di sette coattoni, buzzurri, violenti, misogini e soprattutto avidi trafficanti di diamanti.
Davvero esistono ancora donne capaci di rimpiangere quel giovane farlocco figlio di papà, che si sente un fico andando in giro con una mantellina ridicola che appena gli copre il sedere, con uno spadino di misura imbarazzante, con un taglio di capelli da locandina di antico barbiere di paese?
Iniziamo a vederci chiaro sulle figure ambigue dei Sette Nani, ne dedurremo quanto non sia possibile per persone civilizzate lamentare la messa al bando di quella cosca di malavitosi.
Pensiamo solo al danno paesaggistico che da quasi un secolo si perpetra per causa loro. Hanno lucrato vendendo in tutto il mondo i diritti delle loro immagini per favorire un abuso edilizio abominevole, uno sfregio estetico che deturpa giardini e giardinetti con le loro stucchevoli riproduzioni in gesso, o addirittura in plastica con disastroso impatto ambientale.
Tornando però al contesto della favola di Biancaneve, mi rivolgo alle prefiche che lamentano la falcidia di questi bei tipini in nome del politicamente corretto: non hanno realizzato che i sette energumeni sequestrano una ragazza minorenne con ambizioni da principessa per farne la loro serva?
È fuori di dubbio che il periodo che Biancaneve passa a casa dei nani sia assimilabile a un regime di schiavitù: la obbligano alle mansioni più umili senza ombra di compenso, lei è costretta a lavare i loro pedalini zozzi, le loro mutande incrostate, pulire casa, cucinare. Oltre che provvedere di persona alla loro animalesca igiene intima. Tutto senza nemmeno applicarle il contratto nazionale per le colf e badanti che prevede equo salario, riposo settimanale, ferie e Tfr?
Lo sfruttamento da parte dei nani papponi della sventurata Biancaneve non si ferma neppure con la sua morte. Continuano ad abusare di lei persino quando la ragazza fatalmente collassa, nell’apoteosi della disperazione, pone fine alle sue sofferenze dopo essersi incautamente affidata a una vecchia pusher, con l’illusione di poter evadere dalla sua angoscia ricorrendo a sostanze psicotrope.
Del tutto sprezzanti delle più basilari regole della pietas, che persino negli ambienti più sordidi vengono rispettate, prima si accaniscono con i loro picconi contro una fragile vecchietta, che comunque avrebbe avuto diritto a un regolare processo. La bestiale giustizia sommaria si sospetta sia stata un pretesto, in realtà lo scopo reale era di accaparrarsi la piazza dello spaccio delle mele avvelenate, a esclusivo a vantaggio della loro famiglia e facendo fuori da quel giro il clan di Grimilde.
Dopo di che escogitano un’ulteriore attività criminosa, mettendo a punto un piano di cinico sfruttamento di Biancaneve morta. Invece di dare sepoltura al cadavere della giovinetta, lo mettono in vetrina, cercando probabilmente di lucrare ancora una volta sulle perversioni di un giro di necrofili che si aggirava per quella foresta in cerca di emozioni proibite. Altro che la giustificazione «era così bella anche da morta che ai nani mancò il cuore di seppellirla». Il loro fu un premeditato espediente per tirarne fuori soldi, anche se avevano sotterranei pieni di diamanti, erano avidi oltre ogni misura.
A questo punto, solamente la casualità porta al lieto fine. Entra in scena, improvvisamente, quell’imbambolato del Principe Azzurro che durante tutta questa tragedia non si capisce come abbia passato il suo tempo insulso. Lui fa una fugace apparizione all’inizio della storia, quando Biancaneve è in preda di deliri mentre guarda dentro un pozzo (baciare i rospi nella speranza di ottenere prìncipi probabilmente l’ha messa a contatto con sostanze allucinogene).
Gioca un po’ ad acchiapparello con la ragazza, lei si nasconde dietro un tendaggio, lui si stufa e se ne va. Fine della storia d’amore.
Quando la vede immobilizzata nel rigor mortis, improvvisamente si sente libero dalla sua ansia di prestazione e, seppur con una certa riluttanza, la bacia.
Lei si sveglia, lui la fa salire sul suo cavallo e guidandolo per la cavezza si incammina verso il tramonto. Nemmeno osa montare in sella assieme a lei, sembra quasi che il contatto fisico gli ripugni.
Il castello fatto di nuvole che si intravede nell’ultimo frame non può che lasciarci con il fondato sospetto di un millantato principato. Biancaneve è sicuramente caduta dalla padella alla brace. C’è voluto veramente un bel coraggio a credere per tutti questi anni che, da quel momento in poi, ci sarebbe stato per lei un futuro felice. Ci siamo dovuti però fidare del consolatorio “vissero felici e contenti” del cartello finale.
Ora si che vedremo come saprà giocarsi la vita Biancaneve, finalmente senza essere appesantita da quel penoso fardello di inutili maschi.
Gianluca Nicoletti (La Stampa)
Quest’articolo praticamente distrugge la fiaba così come l’abbiamo conosciuta noi e fa da apripista alla nuova Biancaneve della Disney. Mah… ce lo diranno i numeri se sarà stata un’operazione ben riuscita oppure no.
Altro articolo visto da una posizione leggermente differente e forse più storica:
Si acquietino le anime belle, Biancaneve è già cambiata mille volte
di Manginobrioches
La fiaba raccontata da Disney viene a torto considerata “la” versione, ma è solo quella venduta meglio, più estesamente e con strumenti che i buoni Grimm nemmeno si sognavano.
Raccontereste ai vostri figli una fiaba in cui una madre diventa così gelosa della bellezza della figlia di sette anni da chiedere a un cacciatore di condurla nel bosco e ucciderla e portarle fegato e polmoni da cucinare, con sale e pepe? E poi, visto che la piccola si è salvata, la madre snaturata tenta due volte di ucciderla, con un pettine avvelenato e poi con una mela avvelenata? E quando la povera ragazzina giace come morta, passa un principe che chiede ai suoi custodi, sette nani, di portarsi a casa il cadavere? E quando al castello i servitori del principe, stanchi per le continue richieste di spostare avanti e indietro la bara, tirano fuori il corpo della poveretta e lo scuotono, e così facendo fanno saltare via dalla gola il pezzo di mela avvelenato? Ebbene, questa è la versione originaria della favola di Biancaneve e i sette nani, così scritta dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm nel 1812, basandosi su elementi e intrecci della tradizione orale popolare.
Dite che non ve la ricordavate così? Certo che no. La versione del 1812 venne cambiata più volte, nelle successive sette (ripeto, sette), fino a quella del 1857. Spariti la madre degenerata, il cannibalismo, la necrofilia del principe (non tutta, in effetti), la cattiveria profanatrice dei servitori. Secondo il ben noto meccanismo di “ingentilimento” dello sfondo cupo e brutale che accomuna alcune delle fiabe più antiche, note e amate.
E va ancora oltre in questa direzione la versione che – di fatto – è alla base dell’immaginario biancanevesco di tutti noi, quella di Disney. Proprio quella delle canzoni flautate, dei nanetti buffi, degli animaletti del bosco. Quella che viene, a torto, considerata “la” versione, mentre è solo quella venduta meglio, più estesamente e con strumenti che i buoni Grimm nemmeno si sognavano.
Non che siamo rimasti lì, eh. Oggi sta facendo discutere la nuova versione live action in programma proprio per Disney, coi nani trasformati in generiche “creature magiche” varie e diverse (non basse!), senza principe, senza troppo desiderio della protagonista di diventare una domestica canterina per un gruppo di minatori, per quanto allietata e aiutata da caprioli e scoiattoli, e a dirla tutta senza nemmeno troppa neve, visto che l’incarnato della principessa è decisamente più scuro (sarà l’attrice Rachel Zegler, statunitense di origini polacco-colombiane). Ma se pensate che dalla versione Disney del 1937 a questa, firmata da Greta Gerwig, che uscirà nel 2024 non ci sia stato nulla, forse siete male informati (come gran parte di quelli che si stanno stracciando le vesti in difesa di una presunta “purezza” della versione “originale” tradita dai perversi polimorfi del politicamente corretto e tirannicamente inclusivo).
Abbiamo avuto una Biancaneve horror-gotica che non bacia il principe ma un minatore e poi libera il padre dalla matrigna in “Biancaneve nella foresta nera”, film del 1997 di Michael Cohn; il principe trasformato in orso, e che bacia Biancaneve proprio da orso nel film tv del 2001 “Snow White: The Fairest of Them All”; la Biancaneve-Robin Hood di “Biancaneve (Mirror Mirror)” del 2012 di Tarsem Singh; la Biancaneve e gli otto nani fantasy, col Cacciatore al posto del principe, di “Biancaneve e il Cacciatore” del 2012, di Rupert Sanders. Abbiamo avuto adattamento comici, pornografici, persino un manga e anime basati su Biancaneve (per tacere del cartone “Biancaneve e gli 007 nani” del 2008). Un corto d’animazione del 1943 ritirato poi dal commercio perché ritenuto “offensivo”, modernizzazioni (“Biancaneve al college”, film di Joe Nussbaum del 2007) e parodie, e poi Biancaneve in decine di narrazioni, animazioni, fiabe sonore.
Abbiamo, come sempre accade, intrecci antichi e a volte antichissimi che si ripropongono in forme e modi nuovi, per mondi nuovi che ritengono di avere cose da aggiungere, da modificare, da sottolineare, in base a sensibilità diverse, a sguardi nuovi, a nuove responsabilità. Oggi non diremmo mai “nano” a qualcuno, non diremmo mai “negro” a qualcuno, se non per offenderlo: questa consapevolezza è un cambiamento epocale di cui essere fieri, altroché (e quando vediamo “Via col vento” oggi avvertiamo quanto sia grottesco il doppiaggio di Mami, la cameriera di Rossella, e questo non vuol dire che vogliamo bruciare il film o disprezzarlo: solo, prendiamo le misure in base a un sentire di oggi, senz’altro migliore).
Il modo più intelligente, come sempre, è sapere più cose possibile, confrontare le immaginazioni, comprendere cosa c’è alla base di scelte di innovazione e cambiamento. Che possono anche non piacerci, ma non pregiudizialmente, per presunto “reato d’innovazione”, per lesa maestà di non si sa quale integrità perfetta da salvaguardare.
La versione originale del 1812 potrebbe sconvolgere le anime belle convinte che Biancaneve l’abbia inventata Walt Disney un secolo fa, e persuase che il mondo non cambi mai, per non dare loro il compito arduo di comprendere che scoiattoli e caprioli non cantano in coro, non tutte le principesse perseguitate sognano principi che le salvino e soprattutto che le storie, le narrazioni sono organismi vivi, che si muovono e cambiano. Per fortuna.
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