E’ indubbio che la percezione visiva giochi un ruolo fortemente discriminante nel giudizio umano. Spesso l’idea che ci si fa la prima volta che si vede una persona influenza la predisposizione verso gli elementi più concreti e oggettivi del contenuto e della forma. Una persona che a pelle ci trasmette una impressione gradevole ci predispone automaticamente a pensarla buona, brava, intelligente, onesta e affidabile.
Questo criterio viene applicato anche sfogliando un fumetto perché spesso è da alcuni dettagli grafici che decidiamo se leggere o non leggere l’albo.
Nel caso del fumetto non ci sono molte alternative oltre a quella di guardarlo: difficilmente possiamo scambiare quattro chiacchiere con l’autore o farci una passeggiata dissertando con lui sui massimi sistemi. Al più, possiamo leggere in fretta qualche balloon prima che il giornalaio di turno cominci a borbottare.
Così capita di prendere grosse cantonate per delle valutazioni superficiali. Ricordo di aver tenuto sul comodino per due anni "La ballata del Mare Salato" di Pratt senza mai trovare lo stimolo per leggerla perché mi opprimevano i disegni fitti e approssimativi di Pratt. Eppure, a distanza di oltre quarant’anni non ho ancora trovato capolavori in grado di scalzarlo dalla mia personale hit parade. Analogamente, non ho mai nascosto la mia passione per Tintin ma anche in questo caso ho esitato a lungo prima di leggerlo, banalmente allontanato dal lettering corsivo che mi dava l’idea di fumetto noioso e prolisso.
Sicuramente avevo molte attenuanti. La mia giovane età, il contesto storico e il background saldamente costituito da vagonate di Tex, Diabolik e Topolino non favorivano quell’approccio e quell’apertura mentale che oggi sarebbe molto più naturale.
Qualcosa di simile accadde anche sfogliando il primo episodio di
Buddy Longway, sulla storica collana Winchester della Totem Comics.
All’epoca, l’unico percorso che poteva fare uscire il lettore dalla profonda fossa scavata dai nostrani eroi di carta passava inevitabilmente attraverso due riviste antagoniste: Linus ed Eureka. La prima era innovativa ma saldamente legata al nostalgico-tradizionale mentre la seconda seguiva vie più alternative e sperimentali. I lettori erano generalmente schierati e raramente qualcuno le apprezzava entrambe. Poi col tempo la prima prese il sopravvento grazie ai suoi supplementi che si trasformarono nelle costole AlterLinus e AlterAlter e l’aggancio in corsa al treno degli Humanoïdes Associés, consolidato da riviste come Totem e Metal Hurlant che acquistavamo in edicola a scatola chiusa con tutti i loro svariati supplementi: Collana Nera, Collana Metal, Collana Winchester.
Acquistando questi ultimi, mi ritrovai tra le mani quell’albo un poco infelice dalla copertina priva di charme e dalla carta ruvida e fredda. I disegni, poi, dal tratto grossolano e caricaturale, sembravano più adatti a Bug’s Bunny che a un fumetto western serio. Così anche il genere western realistico passò inosservato e questo fu strano anche per noi proseliti di Ken Parker e della Storia del West.
Buddy Longway era stato proposto in precedenza da Vallecchi e poi fu rilanciato da Comic Art che, insieme a l’Eternauta ha rappresentato il punto di riferimento del ventennio successivo.
Pur possedendo tutto il pubblicato di queste riviste con i vari annessi e connessi, ammetto a capo chino di aver sempre saltato la lettura degli albi di Buddy Longway, memore della prima Totem impressione. Non menziono neppure le più recenti versioni di Linea Chiara e Lancio Story per il loro format infelice.
Una sera di qualche settimana fa, non so per quale annoiata coincidenza ho estratto i dieci albi doppi di Buddy Longway dalla pila della Collana West editi dalla Gazzetta dello Sport accatastata sul pavimento in attesa di lettura, con l’intenzione di leggermi i gustosissimi editoriali di Fabio Licari.
Mi sono seduto sul divano e, avvenimento che non mi accadeva da almeno trent’anni, li ho letti tutti di seguito e d’un fiato.
Improvvisamente ho scoperto un genio, un mago della sceneggiatura, un maestro della sintesi e dell’equilibrio delle tavole, un creatore di audacissime e meravigliose storie umane basate su semplici elementi quotidiani, in totale antitesi con i canoni del western tradizionale.
Grande, immenso Derib! Dove ti avevo nascosto fino ad ora? In realtà i suoi vecchi albi giacevano da anni buoni buoni e impolverati dentro un sacco di cellophane in un armadio della cantina col cartellino legato al pollice come i cadaveri alla morgue.
A mano amano che avanzavo nella lettura, non potevo evitare i paragoni con il Tex della fossa comune, con le sue meccaniche sceneggiature imballate tra binari scolpiti nella carta che portano irrimediabilmente al paese della noia e del finale scontato.
Qualcuno, in un post recente ha evidenziato il sospetto che una sceneggiatura utilizzata per una serie bonellide potesse essere all’origine una sceneggiatura texiana scartata.
Potrei aggiungere che tante sceneggiature andavano altrettanto bene sia per Tex che per Nick Raider e Nathan Never, inevitabile segno di una atrofizzazione della fantasia indotta più da direttive industriali che da soggettive carenze di idee. Forse l’unico esperimento fuori dalle righe e positivamente degno di nota è stata la miniserie di Nick Raider “Vivere e morire a New York” che, però era editata da IF.
Come sarebbe stata una storia di Tex completamente pensata e disegnata da Derib? Faccio fatica a immaginarmela e comunque è una fatica inutile perché eventi del genere non accadranno mai, nonostante siamo di presenza dell’ennesima collana fuori serie dichiarata “alternativa” di Tex: per leggere “Painted Desert” che sono solo 46 pagine, ho impiegato tre giorni. Leggeremo ancora per decenni sbadigliando le avventure di eroi invincibili, sempre ottimisti, integerrimi e sempre di una spanna più furbi di tutti. In un altro recente post, qualcuno ha sollevato il quesito sull’età del lettore medio di Tex e sul fatto che i giovani lettori preferiscano altro. Con la precarietà di valori, lavoro e sentimenti in cui ci dobbiamo quotidianamente barcamenare, le nostre giornate sono assai più avventurose e sfiancanti di quanto lo siano quelle di Carson e Tiger Jack.
E proprio per contrapposizione, diventa paradossalmente più avventurosa la vita di un trapper di frontiera nonostante le sue sfide riguardino di volta in volta bufere di neve, i capricci dei figli, un alce infuriato, un lupo orfano, una mandria di cavalli selvaggi. Non mancano tuttavia intermezzi con i pionieri in difficoltà, indiani ribelli, cercatori d’oro senza scrupoli e militari invasati.
Tutto ciò in oltre trent’anni di disegni e non in un solo albo, come avverrebbe in qualunque episodio di Tex.
Inoltre, il personaggio invecchia di pari passo con la narrazione, si sposa, alleva figli, incontra la vita e la morte in una parabola introspettiva di vita che trova raramente eguali nel fumetto.
Derib (Claude de Ribapierre - Svizzera, 1944) ha disegnato altre saghe e episodi one-shoot che in Italia non sono mai arrivate o sono state pubblicate parzialmente su Il Giornalino, Lineachiara e sui già citati Lancio Story e Cosmo.
Parzialmente inedite, ma per fortuna c’è Amazon...
Edited by mr.zinoviev - 11/8/2022, 06:54