Ho acquistato questo libro qualche tempo fa, incuriosito dalla recensione.
L'ho letto, ed erano anni che una storia non mi rimaneva così impressa nella memoria.
Si tratta di un racconto in forma di favola, che racconta le peripezie di una comunità di minuscoli esseri del bosco, in particolare della contesa tra la dolce Aurore e la perfida Zèlie per il cuore del giovane Hector; dei torti perpetrati, e della loro "giusta punizione" in una sorta di lieto fine. Il tutto narrato con uno stile essenziale, graficamente pensato per un
target infantile, ma lontano dalle fastidiose stilizzazioni di ispirazione manga, winx, witch o yankee-Disney.
Mi piacerebbe chiudere qui e lasciare al lettore la traumatica sorpresa di quello che si troverà davanti una volta aperto il libro, ma le recensioni su internet sono di dominio pubblico, compresa la circostanza che mi ha fatto decidere di acquistarlo.
Come si vede ma non si potrebbe intuire dalla copertina, la casa" degli esserini fatati, quella da cui la storia si sviluppa, è il corpo di una bambina morta, in una radura del bosco, e questo pone l'intera storia sotto una luce completamene diversa. Lo stesso procedere dei fatti, tra i sogni e i buoni sentimenti dei protagonisti, è punteggiato di piccole/grandi violenze e crudeltà efferate - badate bene, messe in atto sia dai "cattivi" che dai "buoni". Il tutto nella totale indifferenza del narratore, che non pone in essere alcun giudizio morale.
Le recensioni, per questo racconto, usano aggettivi come "straniante, spiazzante, irrazionale, onirico"... in realtà l'intento è fin troppo lucido ed esplicito.
Abbiamo personaggi dall'aspetto innocuo, familiare, anche tenero, che agiscono in un contesto spietato e indifferente, che non riconoscono e nel quale cercano la loro piccola felicità; che nel farlo, mettono in atto più o meno consapevolmente atti anche atroci, anche questi invisibili alla loro coscienza.
L'ambientazione stessa è quanto di più straziante si potrebbe immaginare: una bambina, vestita di tutto punto, con il suo cappottino, gli stivali e la cartella di scuola, che giace morta nel profondo del bosco. Ora, una simile circostanza dovrebbe narrativamente mettere in secondo piano qualsiasi altro elemento: chi è e perchè è lì? Come è morta? Qualcuno l'ha uccisa? Qualcuno la troverà, la riporterà a casa, ai suoi cari?
Invece, niente. Questo fatto inaccettabile rimane sempre sullo sfondo: il corpicino rimane dietro le azioni dei protagonisti, saltuariamente raffigurato nelle progressive fasi della decomposizione, finchè rimane solo vegetazione e un paio di stivaletti. Miracolosamente, il tono rimane sempre leggero e distaccato senza concessioni nè alla pietà nè allo splatter: un naturale e inevitabile procedere. Ma provocatoriamente, deliberatamente, nessuna spiegazione ne verrà data, neanche una minima allusione.
Tutto questo che cos'è se non la condizione di tutti noi, in un'esistenza di cui sostanzialmente capiamo poco, ma in cui dobbiamo cercare un'equilibrio e una zona di tranquillità tra una tegola e l'altra che ci cade sulla testa? Anche rimuovendo cose a cui il nostro quieto vivere non potrebbe dare un senso? Anche - magari senza volerlo - essere causa di quelle stesse atrocità da cui per primi cerchiamo riparo? Fino a rimuovere lo sgomento più grande di tutti, la nostra stessa esistenza e l'inevitabile fine?
La stessa citazione riportata in quarta di copertina è illuminante al riguardo, se riferita al contesto della storia: spero si veda dalla foto.
Secondo me questo è un grande fumetto, che non solo intrattiene, ma che colpisce e dà da pensare. Speriamo che con i tempi che corrono nessuno si offenda nel leggerlo...
Fabien Vehlmann, Kerascoet (= Marie Pommepuy & Sébastien Cosset)
DOLCI TENEBRE
Bao Publishing, marzo 2014
Cartonato con sovraccoperta, cm 22 x 30, 96 pagg. a coloriEdited by mr.zinoviev - 20/8/2022, 16:16