Confesso che, leggendo questa recensione, ho l'impressione che non tratti della stessa serie che ho letto io. Perciò, mi verrebbe da pensare che sia piuttosto riferita alla II, che purtroppo non conosco.
Una caratteristica fondamentale della I serie è proprio il suo non tratteggiare la mafia reale, non rappresentandola come la tipica associazione a delinquere, basata su rapimenti, estorsioni e traffico di droga: "settori" da cui il protagonista, John "Baby" Lupano, preferisce tenersi alla larga in nome di un particolarissimo codice d'onore che lo spinge a concentrarsi per lo più sul contrabbando (quello di diamanti in alcuni episodi), che non si capisce perché (anzi sì, cfr. appresso) risulta essere molto più remunerativo di quelli più tradizionali.
L'(anti)eroe si muove come un vero e proprio uomo d'affari, un improbabile proprietario di una multinazionale che non disdegna di menare le mani quando serve; un uomo che pretende e dimostra lealtà, e che sa essere generoso e mai volgarmente vendicativo. Inevitabile parteggiare per lui, dunque, ma proprio perché, in fondo, non sembra affatto un mafioso; ed è proprio per questo che, rappresentando questo fenomeno in maniera distorta, la serie rischia di farne in qualche modo un'apologia, auspicabilmente involontaria (anche se Renzo Barbieri, uomo di mondo, non doveva riscontrare, giustamente, una differenza eccessiva tra la prassi delle grandi aziende e quelle della malavita: cfr. i suoi romanzi).
Punto dolente della serie - i cui racconti pure sono ben strutturati - sono i disegni: Frank Verola è l'ombra di ciò che era stato nei gloriosi tempi del
Daniel migliore, e sembra non riuscire a fare altro che plagiare se stesso, riproponendo di continuo i personaggi nelle stesse pose: un po' come se Lupano fosse, semplicemente, il vecchio Daniel Kendrew, bruno, con barba e baffi, che fuma sigarette anziché sigarilli... e che si fosse ormai spento.
Molte delle copertine sono già visibili sul
blog di Emanuele Taglietti.
Edited by Estempo - 28/11/2012, 20:39
